La Sicilia Ritrovata

Saperi e sapori prelibati


n°3 - Dicembre 2005 - Peppe Giuffrè Editore

 

Storia, sapori e gusti di Troina
di Massimiliano Stazzone

        Probabilmente sarà capitato a molti di noi vedere per caso delle foto in una rivista o in un libro che richiamano alla nostra memoria atmosfere, colori, profumi e sapori di luoghi a noi familiari.   Di recente è capitato anche a me di provare queste sensazioni sfogliando le pagine di un settimanale in cui comparivano le foto del famoso reporter di guerra Robert Capa sullo sbarco degli alleati in Sicilia.   Ma forse non tutti sanno che quelle foto sono state scattate a Troina nel 1943, durante la famosa battaglia che vide contrapporre gli alleati alle truppe dei soldati tedeschi che si erano arroccati nella parte più alta del paese.

Troina, paese dell'entroterra siciliano, è situata ad un'altitudine di 1120 [m] sul livello del mare nella parte settentrionale della provincia di Enna a ridosso dei monti Nebrodi, in una zona ricca di boschi e di pascoli.   Tutta chiusa in se stessa e resa quasi inaccessibile dai suoi rilievi, sembra sorgere come un’isola.   Nel centro storico, a ridosso del quartiere arabo di Scalforio, si trovano l’antica Via Conte Ruggero, delimitata dai palazzi segnati nei secoli dal vento di tramontana, e l’omonima piazza, uno dei più alti balconi siciliani da cui si può ammirare uno splendido panorama: l’Etna e la catena montuosa dei Nebrodi, oltre agli incantevoli tramonti, dai colori straordinariamente magici.

A Troina è stato attribuito l’appellativo di “Civitas Vetustissima”, infatti, le sue origini sono antichissime, così come è documentato dai reperti archeologici e dalle necropoli.   La posizione strategica del sito consentì sia ai greci che ai romani di farne un centro fortificato, funzione ripresa in seguito dagli arabi.   Ma fu grazie alla venuta dei Normanni, nella seconda metà dell’XI secolo, che Troina conobbe il suo periodo più prospero, divenendo roccaforte e prima capitale normanna all’epoca della conquista dell’isola, oltre che prima diocesi, tanto da comprendere quasi un terzo del territorio siciliano.   L’essere stato un rilevante centro religioso si evince dalla presenza di ben 30 chiese e 12 conventi, fra cui due monasteri Basiliani ai quali furono riconosciuti importanti privilegi feudali.

Ma perché ricordare solo e sempre la sua storia o i sui personaggi più illustri del passato (Ruggero I d’Altavilla, “il gran Conte” e suo cognato Roberto “primo vescovo di Sicilia”) o tutti coloro che per qualsiasi motivo sono transitati da queste parti (Cicerone, Papa Urbano II, l’Imperatore Carlo V, Federico De Roberto, lo scultore Ettore Xmenes, il reporter di guerra Rober Capa) o anche di tutti coloro che oggi portano il nome di Troina nel mondo (lo scultore Vittorio Gagliano, il professor Giovanni Pettinato, uno tra i maggiori esperti mondiali di storia sugli Assiri e Babilonesi, Padre Luigi Ferlauto, fondatore dell’Oasi MM. SS. Onlus e unica IRCCS in Sicilia)?

Parafrasando le parole di Antonino Buttitta, possiamo dire che la cucina di tutti i popoli riflette le vicende storiche ed è radicata nella natura.   Le condizioni climatiche e le risorse del territorio si intrecciano, infatti, con le tradizioni culturali dando vita alla "Gastronomia" tipica di un luogo.

La cucina troinese risulta ricca e variegata, densa di storia cresciuta nei secoli valorizzando l'apporto e le esperienze dei tanti popoli (dai greci, agli arabi, ai normanni, agli spagnoli) che qui hanno esercitato la loro influenza lasciandovi, oltre che la ricchezza delle loro tradizioni anche quelle della buona tavola.

Una tavola, quella troinese, che spazia dai piatti rustici, tipici dei luoghi montani, a pietanze di grande fantasia ed ancora a vere e proprie specialità dolciarie le cui tradizionali ricette furono in passato d'esclusiva  conoscenza dei padri Basiliani e delle suore Benedettine, ordini entrambi che ebbero non poca influenza nella storia e nella cultura della città.

Un'esperienza di combinazioni, sempre sull'equilibrio di sapori, che ritroviamo sia nelle preparazioni più semplici e popolari (un piatto di “piciocia”, una minestra di cicoria o una frittata di cardi selvatici) sia in quelle più elaborate e manipolate delle cucine delle famiglie nobiliari o in quelle degli antichi monasteri e conventi, sedi di abbondanti e sontuosi banchetti.

L'elemento portante di tutta la cucina troinese, di allora come di oggi, è il suino.   È prassi comune in quasi tutte le famiglie, macellare e lavorare un maiale dalle cui carni e grassi si ricavano infatti gli ingredienti o i condimenti di quasi tutte le pietanze locali.   Si tratta di un suino, autoctono, il maiale nero dei nebrodi, oggi in via di estinzione, che vive quasi esclusivamente allo stato brado, nutrendosi di erbe, radici, ghiande, frutti spontanei, ecc.   Le sue carni, in conseguenza del tipo di allevamento e della particolare alimentazione, presentano spiccate doti di qualità e genuinità.   Essendo molto gustose, succulente e grasse, rendono ogni piatto unico ed inimitabile.   Dalle carni della coscia si ricava il “subissàta”, un salume tipico fatto con un trito grosso, dadi di lardo, sale e pepe, caratteristico per la sua stagionatura fatta avvenire al vento freddo di tramontana e dopo averlo steccato con strisce di ferula (“fella”).   Nella nostra gastronomia, inoltre, è molto diffuso l’uso di spezie ed aromi derivanti dalla tradizione araba, nonché il consumo di legumi (lenticchie, ceci e cicerchia o “rumanedda”) e delle farine che da questi possono ricavarsi (la “piciocia” – farina di “rumanedda”).

Della cucina dei padri Brasiliani sono da ricordare ben due piatti: la “pasta di sostanza”, consistente in una sfoglia di farina di grano duro, impastata con la sola chiara dell'uovo,che viene farcita con un ripieno di carne tritata di maiale e cavolfiori passati in padella con il “bicchiularu” (guanciale del maiale) per poi essere condita con un sugo (ragù) a base di funghi porcini e di “fella”; e la “Vastedda 'nfighiulata cu sammucu”.    Il termine “vastedda”, derivante dal francese antico “gastel” o dal normanno “guastel” o “wastel”, in Sicilia assume il significato di focaccia o schiacciata.   Tra le focacce siciliane, che generalmente sono ripiene di verdura, di carne o talora anche di pesce (soprattutto nel siracusano), la vastedda di Troina si caratterizza per la farcitura che avviene a strati rispettivamente di “subissàta” e tuma fresca di latte vaccino leggermente inacidita, insaporita con dadini di pancetta, ma soprattutto per essere aromatizzata con fiori dell'albero del “sambuco” (Sambucus nigra).   Tale pietanza viene preparata durante il periodo primaverile alla fioritura della pianta ed è di esclusiva produzione troinese al punto che gli abitanti dei paesi limitrofi, pur conoscendola ed apprezzandola, non riescono a cimentarsi nella sua preparazione che risulta essere abbastanza complessa.

Vastedda co Sammuco

Le maggiori esperte nell’arte pasticcera, invece, erano le suore Benedettine, famose per la preparazione dei dolci tipici della cittadina che avveniva nei loro conventi, quali: le “'Nfasciatieddi”, un dolce da forno la cui farcitura è basata principalmente sul "vino cotto di fichidindia", glassato con lo stesso concentrato e guarnito con mandorle, noci tostate e pistacchio tritato.   Non vanno dimenticati i cannoli al forno ripieni con una crema di latte aromatizzata al limone o di ricotta, le “Sfingi alla benedettina”, ripiene con crema di latte, le “Cudduri e i Pasticciotti” (paste a base di mandorle, pistacchi, nocciole tritate, fichi secchi, vino cotto e zucchero), che vengono preparate durante le feste natalizie, nonché per ultimo le “nucatole” (dolce ormai quasi del tutto scomparso, che solo alcune famiglie sanno ancora fare).

'Nfasciatieddi al naturale    'Nfasciatieddi 'ncilippate

Ci piace ricordare ancora altri due piatti che furono della cucina contadina: la pasta “Tappi Tappi”, primo piatto fatto con una sfoglia di pasta di grano duro impastata semplicemente con acqua e stirata in modo non molto sottile e piuttosto ruvida, quindi maltagliata a grossi pezzi, fatta cuocere nell'acqua di cottura dei broccoli e condita, successivamente, con i fiori della stessa verdura, con pomodorini pelati freschi e cosparsa di abbondante ricotta salata; e la “Piciocia”, una sorta di polenta fatta con farina di "rumanedda" o "cicerchia" (Lathyrus Sativus) e condita con salsiccia, pancetta, finocchio selvatico o cardi selvatici.

Non vanno, inoltre, dimenticati i maccheroni e le tagliatelle alla casereccia, sempre condite con un sugo a base di funghi, le costolette e la carne di castrato arrosto, e in particolare l'agnello o il capretto 'ntuttera (la carne, ripiena con formaggio, pancetta, e aromi, viene rosolata con vino e sugna all'interno di un tegame in terracotta e cucinata, a fuoco molto lento, su fornelli di brace a legna); i Cavolfiore o "Stutacannili" a fugatieddu (le verdure vengono cotte con formaggio, salsiccia, olive e spezie),  la salsiccia arrostita nel coppo siciliano, la carne di maiale a stufato, le frittate d'asparagi, le fave a frittelle, i funghi, i secondi a base di cacciagione, nonché il formaggio pecorino e gli ottimi salumi caserecci, preparati con sapiente cura, tramandatasi di generazioni in generazione. 

Concludendo vogliamo proporvi la ricetta della Nostra "Vastedda cu sammuco" augurandoci che almeno voi che leggete, a differenza dei nostri vicini, sarete in grado di prepararla.

Il miglior consiglio rimane comunque quello di venire a Troina  per poter gustare ed assaporare tale prelibatezza, come fece Federico De Roberto durante il suo viaggio a Troina.   Così scriveva, infatti, il 3 giugno 1908, in una lettera alla madre, donna Marianna degli Asmundo: "L'appetito è sempre ottimo: in questi giorni ho mangiato una vastella imbottita, una specie di focaccia che gli amici hanno fatto per me e che non è molto leggera ma che ho digerito benissimo".


 

max@stazzone.it

 

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