3.1 - Premessa

La struttura museale tradizionale, così come era definita a partire dall’800, ha teso progressivamente a separare l’organizzazione della cultura dall’istruzione, dalla produzione e dal complesso sociale, affermando in modo convenzionale la cultura come soprastruttura, come conoscenza separata dai processi produttivi e da quelli che influiscono sullo sviluppo della società.

Così essa non risponde più ai concetti attuali di cultura, di monumento, di storia poiché la sua funzione è limitata alla raccolta di collezioni ed alla loro conservazione. Infatti il criterio espositivo ha privilegiato la "mostra degli oggetti", l’omologazione e la sublimazione di una o più raccolte di opere piuttosto che seguire un ordinamento scientifico finalizzato alla costruzione di un rapporto critico tra fruitore ed oggetto.

Il museo tradizionale rimane così espressione di una cultura d’élite e, in quanto tale, non espleta nessuna funzione educativa, sensu latu, nei confronti della collettività.

A questo museo inteso come luogo di raccolta, catalogazione ed esposizione di un insieme di oggetti, si sostituisce una struttura flessibile e polifunzionale nella quale alla funzione tradizionale si integra quella di ricerca e didattica che consente diversificati e selezionati livelli di accesso alle informazioni ed alla conoscenza.

Il museo contemporaneo, invece, viene inteso come un organismo attivo che produce cultura attraverso la raccolta, lo studio e la divulgazione degli elementi storici che costituiscono i fondamenti della società attuale e compongono un patrimonio in crescita continua. Esso rappresenta il luogo in cui la cultura viene prodotta attraverso l’attività didattica e di ricerca e si configura come momento operativo e di sedimentazione di cultura materiale sul territorio.

Queste nuove finalità modificano l’organizzazione spaziale e funzionale e l’ordinamento scientifico del museo che da luogo della fruizione diventa sede di elaborazioni culturali, atto a ricevere e trasmettere cultura e conoscenza attraverso lo scambio anche materiale di operatori, strumenti, tecniche ed informazioni.

Questa nuova concezione del museo, inoltre, incide sugli aspetti urbanistici non solo in termini di localizzazione, ma anche di organizzazione della città e di qualificazione del tessuto urbano, sociale e culturale. Il museo così inserito in un complesso di attività coordinate e collegato ad altri organismi culturali della città, diviene momento di aggregazione per istituzioni con ruoli diversi e complementari (Università, scuole, accademie, spettacoli, conferenze, concerti, pubblicazioni, ecc.).

Il sistema dei musei nei suoi differenti settori, esteso a tutta la realtà territoriale, diviene pertanto uno strumento fondamentale per riproporre il rapporto città - territorio e per definire una diversa relazione tra Istituzioni e utenza, tra cultura e società.


3.2 - Schema generale di organizzazione di un museo tipo

Gli elementi che determinano l’organizzazione funzionale di un museo sono definiti dalle relazioni oggetto - pubblico, oggetto - conservazione. Queste due relazioni definiscono sia le finalità essenziali del museo che le attività che lo stesso deve assolvere. Il grado di complessità delle funzioni è in rapporto al tipo, al genere e alla dimensione del museo; tuttavia qualunque siano le sue caratteristiche le funzioni che in esso saranno espletate sono raggruppabili in cinque categorie di attività:

  1. accoglienza
  2. amministrazione
  3. informazione e documentazione
  4. museologia e didattica
  5. conservazione e ricerca.

Ognuna di queste attività richiede una dotazione di spazi particolari che sono distinti per funzioni.

Le categorie sopra descritte sono state analizzate in uno schema funzionale che consente la lettura dei rapporti tra i tipi di attività e delle relazioni con le strutture necessarie per il loro funzionamento.

Dal punto di vista dell’organizzazione degli spazi si possono individuare tre settori a cui corrispondono attività specifiche:

  • Spazi pubblici che interessano l’accoglienza, l’informazione e la documentazione, la museologia e la didattica.
  • Spazi di servizio che interessano l’attività di conservazione e di ricerca.
  • Spazi di uffici che interessano l’attività di amministrazione.

Accoglienza

Costituisce un filtro fra l’esterno e gli spazi espositivi e serve da supporto ai seguenti insiemi funzionali:

  • riposo - svago;
  • punto di riunione;
  • servizi generali.

L’insieme di queste funzioni determina la specificità delle attività di ricezione e giustifica la sua autonomia funzionale.

Il settore di accoglienza è articolato e attrezzato in funzione delle dimensioni del museo.

A questo settore sono collegate strutture per l’informazione (videotapes, diorama, ecc.), commercializzazione (museum - shop), riposo (bar, ristorante, sala fumatori, ecc.) e servizi igienico sanitari.

Amministrazione

Ha la funzione di direzione e gestione del sistema museografico.

Informazione e documentazione

Ha la funzione di raccolta, conservazione, organizzazione sistematica e di diffusione di informazioni, dati e documenti inerenti la specificità del museo.

L’informazione può avere diversi livelli di complessità ed è in rapporto ai contenuti, all’ordinamento scientifico ed ai sistemi di comunicazione adottati. Il suo grado di complessità seleziona automaticamente le categorie di fruitori e pone il problema della comunicazione di massa. Per queste attività sono necessarie strutture quali:

  • il centro informatico;
  • la biblioteca;
  • la cineteca;
  • la sala videotapes;
  • i laboratori di riproduzione e stampa, ecc.

Tabella 3.1 - Museo - Schema generale di organizzazione di un museo tipo.

Museologia e didattica

Ha funzione espositiva, culturale, di laboratorio didattico, di sede permanente di sperimentazione e dibattito sulle metodologie dell’insegnamento. Tali funzioni vengono espletate attraverso attività complementari come :

  • mostre temporanee;
  • conferenze;
  • proiezioni ecc.

Conservazione e ricerca

Ha funzione di conservazione, aggiornamento e studio scientifico delle collezioni. Essa fornisce al settore museologia e didattica competenze scientifiche e collaborazioni specifiche in particolare per la preparazione degli esemplari da destinare all’esposizione e per l’attività didattica.

Per svolgere queste funzioni è necessario dotare il museo di :

  • laboratori di restauro (dipinti, legno, tessuti, metalli, ecc.);
  • laboratori di analisi chimico - fisiche;
  • laboratorio grafico;
  • laboratorio fotografico;
  • locale climatizzazione;
  • locale disinfestazione, ecc.

Sono legati alle attività espositive e di conservazione i sistemi tecnologici di controllo e di sorveglianza.


3.3 - I percorsi di visita

Il percorso di visita di un museo, indipendentemente dalla sua stretta relazione con l’ordinamento, deve essere unitario, continuo e a senso unico, senza peraltro precludere la possibilità di opportune soste. Non è sufficiente ottenere tale continuità con la sola successione degli ambienti, ma è necessario che nell’interno di essi, con la distribuzione del materiale esposto, venga suggerita al visitatore la strada da seguire per vedere le opere nelle condizioni migliori e nella loro successione più logica: non si tratta quindi di incanalare i visitatori lungo passaggi obbligati, bensì di concentrare, dilatare, sottolineare, con accorgimenti espositivi, le opere a seconda della loro importanza e del loro significato, in maniera che tale percorso si determini spontaneamente. Un esempio del tutto particolare è il Museo Guggenheim d’arte astratta di New York, il cui percorso si snoda lungo un’unica rampa ad andamento elicoidale ascendente, allargandosi verso l’alto. In taluni casi di musei centrali di notevole importanza, dove il materiale è esposto in due o più nuclei separati, in relazione a determinate categorie di visitatori, si possono considerare due o più percorsi distinti, sia pure opportunamente collegati.


3.4 - Dimensionamento, conformazione e proporzionamento dello spazio ambiente.

Il principio fondamentale di questo, che può considerarsi forse il più importante tra i problemi museografici, è quello di tenere costantemente conto del suo duplice aspetto, ossia delle due "scale" di rapporti: quella riferita all’opera esposta e quella della condizione umana. Naturalmente per "scala" non deve intendersi soltanto misura fisica, ma tutto quel complesso di valori che determina la consistenza e il significato di un’opera. È evidente che la distanza focale per la migliore visione di un dipinto, di una scultura o di un oggetto di oreficeria, sono notevolmente diverse, ma non è soltanto tale distanza focale a determinare il maggior godimento di esse, bensì i rapporti "spaziali" della sua sede e quelli di chi li osserva. Appare chiaro da quanto detto che nella creazione dello spazio - ambiente del museo deve essere realizzata la massima libertà nella composizione di esso, disponendo i presupposti tecnici che consentono la modellazione dello spazio in maniera tale che tutti gli elementi che lo determinano (pareti, pavimenti, soffitti, ecc.) possano essere liberamente impostati nelle posizioni più idonee e sfruttati nelle forme e dimensioni quali indispensabili ausili per la messa in valore delle opere esposte. In taluni casi, in previsione dell’accrescimento dell’istituto o di necessità di frequenti mutamenti nel suo ordinamento, è consigliabile prevedere in tutto o in parte l’uso di pareti realizzate con pannelli mobili e smontabili (Museo civico di Linköping, Svezia; Museo d’arte di San Paolo, Brasile; Museo di Belle Arti dell’università di Yale, Connecticut).


3.5 - L’illuminazione naturale del museo

Il problema andrebbe analizzato dettagliatamente in rapporto al "tipo" di museo, poiché è evidente che il problema è notevolmente diverso ove si tratti di pitture, di sculture, di oreficerie o di oggetti archeologici. Anche in questo caso non sembra superfluo enunciare alcuni principi fondamentali:

  1. I dipinti debbono ricevere una luce piatta e distribuita con uguale intensità su tutta la loro superficie; l’angolo di incidenza deve essere tale da evitare i due maggiori inconvenienti e cioè la messa in risalto delle asperità della superficie e l’effetto di riflesso dal giusto punto di osservazione del dipinto.
  2. Le opere di scultura in genere (eccettuati casi particolari di incisioni, ceselli, tessuti bassorilievi, ecc., per i quali necessita la luce radente), debbono essere illuminati con luce direzionale, ma diffusa, evitando eccessive ombre portate troppo nette e realizzando al massimo gli effetti di sfumatura e di riflesso, onde ottenere il massimo risalto della modellazione.
  3. Per tutto il materiale che normalmente viene esposto entro vetrine di custodia e comunque sotto cristallo di protezione, il problema si complica notevolmente a causa delle caratteristiche specifiche della superficie protettiva. Non soltanto bisogna evitare il rispecchio diretto della fonte luminosa, ma bisogna ricorrere a tutti gli accorgimenti necessari per evitare anche il riflesso di tutto ciò che è circostante alla vetrina stessa e in modo particolare di coloro che guardano nel suo interno. È possibile ottenere ciò soltanto riducendo al minimo indispensabile l’illuminazione dell’ambiente e concentrando la massima luce all’interno della vetrina, in modo che essa arrivi all’ambiente dopo essere passata attraverso la vetrina stessa.

È evidente che non è sempre possibile realizzare tali ideali condizioni: molto spesso è necessario ricorrere a varie soluzioni di compromesso, quali particolari angolazioni o curvature delle superfici speculari, distribuzione oculata degli arredi in modo da evitare i reciproci rispecchi, uso di colori scuri alle pareti e, assai di frequente, ausilio dell’illuminazione artificiale.

Da quanto detto risulta chiaro che il problema dell’illuminazione nei musei capovolge il normale concetto valido per quasi tutti gli altri organismi architettonici. Non si tratta infatti di illuminare degli spazi interni diffondendo poi la luce su quanto in essi contenuto ma, al contrario, si tratta di illuminare prima nel modo più idoneo il contenuto di detti spazi, utilizzando poi tale luce per rischiarare gli ambienti. È pertanto evidente che non sarebbe opportuno dettare una norma fissa circa le fonti tecniche e le caratteristiche dell’illuminazione naturale, ma si deve raccomandare di risolvere alla base i problemi suesposti onde stabilire di volta in volta le soluzioni più idonee allo scopo.


3.6 - L’illuminazione artificiale nel museo

Il museo è un’istituzione che ha un duplice compito, quello di esporre le opere e quello di conservarle; di qui il duplice aspetto dell’illuminazione che presenta due caratteristiche precise.

L’illuminazione svolge un ruolo importante sia per quanto riguarda il problema della conservazione sia per quanto riguarda il problema dell’esposizione delle opere e dei reperti ospitati dai Musei.

Per quanto riguarda la buona conservazione del patrimonio storico culturale, esiste, a tutt’oggi, una normativa generale ed accettata da parecchi organismi internazionali, in particolare dall’I.C.O.M. ( The International Council of Museums) e dalla C.I.E. (Commission Internationale de l’Eclairage).

Tale normativa si riferisce, in pratica, ai soli valori quantitativi: essa fissa i valori massimi di illuminamento raccomandati rispetto al tipo di materiale costituente l’opera stessa. Questi valori sono facilmente misurabili, con grande precisione, da luxmetri (strumenti che misurano le radiazioni visibili dall’occhio umano). Sappiamo che molto più pericolose, anche se a bassa intensità di irraggiamento, risultano essere le radiazioni infrarosse ed in misura ancora maggiore le radiazioni ultraviolette, presenti sia nelle sorgenti per l’illuminazione artificiale, sia, in maggior quantità, nella luce diurna. Quest’ultima, non rilevabile con i luxmetri, difficilmente misurabili e con grande margine di approssimazione, si rivelano per mezzo di termometri (infrarossi), e per mezzo di uvimetri (ultravioletti).

È augurabile, a questo proposito, che gli organismi preposti sopra citati, si facciano carico dello studio di metodi di misurazione e di strumenti più adeguati per poter far fronte ai seri rischi che il patrimonio storico, artistico, culturale, anche qualora tutelato dal Museo, si trova ad affrontare (un irraggiamento di pochi microwatt al metro quadro, in certe bande dell’ultravioletto, provoca lo stesso danno di migliaia di µw/m² nel visibile).

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una generale presa di coscienza del problema che porta al concetto di "museo microclima" con studi rivolti di volta in volta ai materiali, ai colori, all’epoca, alla deperibilità. ecc., degli oggetti esposti.

La conservazione del materiale da esporre viene affiancata da diverse metodologie e criteri di ricerca quali, ad esempio:

  • La raccolta - tutti i fossili del paleolitico; tutti i dipinti dei pittori veneti.
  • Il racconto - dalle imbarcazioni fenicie alla "Leonardo da Vinci".
  • La narrazione - la guerra e la pace nella pittura europea dal 1300 ad oggi.
  • L’illustrazione - il XIX secolo inglese attraverso la pittura, scultura, architettura, fotografia pubblicistica.

Ne consegue che i diversi linguaggi espositivi caratterizzano i vari Musei.

L’illuminazione all’interno del progetto Museo deve essere, quindi, strettamente connessa e funzionale sia alle problematiche che la conservazione delle opere pone, sia ai criteri espositivi e alle scelte generali compiute.

Nello specifico, sono sempre preferibili quelle sorgenti di luce che permettano un’ottima resa dei colori, che presentano, quindi, uno spettro di emissione quanto più possibile simile a quello della luce solare, per non alterare la qualità cromatica dei materiali e delle opere esposte.

Occorre, infine, far vivere tutto lo spazio museale in maniera coordinata ed omogenea in modo tale che risulti facile riconoscere i percorsi, orizzontarsi, piacevole sostare e riflettere: che il rapporto spazio/opere/tempo di visione sia felice.

Come per ogni altro tipo di progettazione anche per l’illuminazione di un Museo non abbiamo, a priori, né regole generali, né bacchette magiche: ogni progetto presenta un proprio iter che si svolge attraverso l’analisi dello spazio a disposizione, del materiale da esporre, dei percorsi da seguire: dal racconto che si vuole comunicare al visitatore/spettatore, utilizzando una serie di elementi molto disparati fra loro e che debbono fondersi in un prodotto finale armonico e continuo.

La luce è uno degli elementi che il progettista ha a disposizione per svolgere il racconto museale.

Osservata la normativa per la conservazione dei materiali e delle opere esposte, ogni scelta è legittimata dall’obiettivo finale al quale si tende. Un’illuminazione che faccia vivere tutte le superfici verticali espositive con la stessa temperatura di colore, illuminamento costante, omogeneità e presenti su di esse le opere (pittoriche ad es.) in maniera obbiettiva e democratica può essere valida e legittima quanto un’illuminazione che scelga di far emergere le opere (sempre pittoriche) dal buio quasi totale di sale lasciate in penombra.

Buona norma sarebbe non disturbare il fluire del racconto museale, già carico di elementi tecnici, messaggi e compiti con la presenza, troppo evidente, di apparecchi di illuminazione che andrebbero a sovrapporsi a tutta una serie di supporti strutturali non propri del discorso principale: l’integrazione, quindi, quanto più possibile, dei centri luminosi con l’architettura stessa degli spazi museali è sempre auspicabile.

È necessario considerare poi, i problemi qualitativi legati alla luce nel museo: bisogna evitare i riflessi, cosa non facilmente realizzabile soprattutto in spazi polifunzionali, cioè in spazi che mutano in termini espositivi. Ancora un altro problema è l’uniformità: in generale si pensa di illuminare le pareti e non le opere d’arte per due ordini di motivi:

  • Uno strettamente tecnico: quando si mettono per esempio un sistema molto flessibile di binari con gli apparecchi che vengono diretti quadro per quadro lo si può la prima volta ma poi l’impianto viene lasciato in mano a chi ne fa la manutenzione, all’elettricista, che cambia le lampadine, il quale non conosce i valori di conservazione e comunque può spostare queste lampade, creare dei riflessi molesti ecc. per cui in impianti flessibili dove questi apparecchi si orientano la gestione può essere ottima nei primi momenti della vita dell’ambiente espositivo e poi tragicamente decade.
  • L’altro aspetto è invece di ordine più generalmente culturale: per la pittura occorre garantire una obiettività di lettura dell’opera d’arte il che si realizza attraverso una illuminazione delle pareti. La stessa cosa non vale per la scultura, che ha bisogno di un certo rilievo e quindi di una sorgente puntiforme orientata opportunamente. Che non basta, occorrendo un fondo di luce per evitare una drammatizzazione troppo teatrale. In realtà in generale le sculture sono fatte per stare nei grandi spazi aperti, nei quali si hanno sostanzialmente, in genere, due tipi di illuminazione naturale: quella con cielo coperto e quella con cielo sereno. In situazioni di cielo coperto normalmente non sono presenti ombre perché il cielo è un grande diffusore; in situazione di cielo sereno abbiamo una grande sorgente che è appunto il cielo sereno. Quindi in generale le sculture vengono illuminate non solamente da una sorgente puntiforme ma c’è un certo contributo di luce diffusa.

Vediamo adesso l’esperienza progettuale che ha interessato il Centre Pompidou.

Nel museo d’arte contemporanea Pompidou, progettato negli anni ’70 da R.Piano e R. Roges, in piena Pop Art, il progetto dell’illuminazione è arrivato a integrarsi tanto con quello di architettura da condizionarlo enormemente: l’architettura è ottenuta attraverso un sistema di pareti e un sistema di travi a soffietto che sono anche l’elemento illuminotecnico; queste travi servono anche a nascondere questa forte esigenza di tecnologia che caratterizza il Centre Pompidou. All’interno di queste travi vi sono delle lampade messe nelle nicchie che illuminano le travi stesse; le nicchie sono di piccolo spessore in quanto sono usate lampade alogene: infatti il museo, con il grande sistema di climatizzazione, permette l’uso di tale lampade caratterizzate dalla migliore emissione sotto il profilo della qualità della luce e della resa cromatica. Le pareti sono bianche e si realizza l’effetto scatola ovvero effetto di rimbalzo cioè una parete irradia luce sulle altre pareti adiacenti e su quella opposta, queste a loro volta sulle altre e così vi è uno smorzamento armonico per cui la luce e data dalla riflessione totale dell’ambiente.


3.7 - I materiali di finitura

Un altro problema di grande importanza museografica è rappresentato dall’uso appropriato dei materiali di finitura, intendendo con questa definizione tutto ciò che costituisce l’arredo fisso e mobile degli ambienti.

Anche su tale argomento è difficile stabilire dei principi validi in tutti i casi. In una galleria di dipinti quattrocenteschi può essere ben appropriato un pavimento in piastrelle di cotto, mentre in una che accolga grandi tele del Settecento sarebbe molto più intonato un marmo rosa del Portogallo.

Alcune realizzazioni museografiche hanno mostrato soluzioni di accostamenti di materiali ad effetto di contrasto o di ambientamento con le opere, che sarebbe arbitrario esaltare o condannare. Principio fondamentale nell’uso dei materiali, siano essi propri all’ambiente o relativi al supporto dell’opera, deve essere quello di evitare il pericolo che detti elementi accessori raggiungano valori tali da assumere un aspetto predominante sull’oggetto. Il supporto dovrà comporsi con l’opera esposta in maniera così perfetta e discreta da finire con l’essere ignorato o nettamente separato da essa dopo averla arricchita di un elemento fondamentale per il suo maggiore godimento.


3.8 - Gli impianti di sicurezza

Un altro importante capitolo della tecnica museografica è costituito dallo studio di speciali impianti per la migliore conservazione delle opere d’arte, specialmente per quelle che possono essere danneggiate dalle caratteristiche climatiche delle stagioni (dipinti su tavola, affreschi distaccati, cere, pietre, legni, stampe, disegni, stoffe, ecc.). Tra questi impianti è da ricordare quello di un particolare condizionamento dell’aria interna, il quale tenga conto più delle necessità delle opere d’arte che non di quelle del pubblico. Infatti a Siena per la conservazione della Maestà di Duccio è stato predisposto un impianto che oltre a mantenere costante la temperatura ambiente, la mantiene pure a un costante grado di umidificazione in relazione allo stato di conservazione della tavola e alle opere di placcatura eseguite nel retro di essa. Per i disegni e per le stoffe sono state studiate sperimentalmente delle custodie perfettamente stagne e prive di aria, realizzate massimamente in materia plastica onde evitare che possano essere attaccate da qualsiasi microrganismo. Speciali pavimenti galleggianti su sabbia compressa consentono l’annullamento, ove necessario, di ogni vibrazione trasmessa alle opere dalle strutture elastiche delle moderne costruzioni (acciaio, cemento armato). Un’importante serie di impianti di varia natura si riferisce al problema della sicurezza delle opere dal pericolo di furto mediante vari segnali d’allarme.

Per la sicurezza contro gli incendi esistono oggi sistemi di allarme basati su impianti a termostato i quali segnalano qualsiasi aumento di temperatura oltre certi limiti considerati pericolosi. Anche per gli impianti di protezione antifulmine, il sistema che garantisce i massimi risultati è quello di tipo elettronico, che ha un vasto raggio di azione e fornisce garanzie assolute di funzionamento.

Vedute del Plastico


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ing. Massimiliano Stazzone
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